Papà Spessotto aveva una innocente passioncella; non la chiameremo «vizio». Gli piaceva fumare qualche sigaretta, abitudine ereditata dalla Ia Grande Guerra mondiale, quando un po' dovunque infuriava la spagnola. Qualche volta spesso, d'inverno, si ritirava al calduccio, in stalla, prendeva in braccio i figlioletti più piccoli e facendoli dondolare sulle ginocchia, si compiaceva d'indicare loro le nuvolette di fumo che si sprigionavano dal piccolo cilindro di tabacco trinciato. o trinciato forte; forse il più gustoso, ma certo il meno costoso, allora. Era un modo di godersi la fanciullezza, l'innocenza dei suoi figlioli. Ma era anche il metodo migliore per guadagnarsi la loro confidenza, per sentire cosa dicevano, come si esprimevano; per rendersi conto di quali idee s'andavano riempendo le loro piccole menti, per saperli, poi. istruire, formare, correggere. Non lo considerava affatto tempo perduto. Una volta gli scappò fuori questa bella sentenza, che meriterebbe d'essere incisa su tutte le pareti delle case delle nostre famiglie:
«Per me, il tempo che occupo con i miei figli, è più prezioso di quello che impiego per coltivare il grano e per curare il vigneto».
P. Cosma assorbì tutta questa sapienza che costituì l'assillo principale e più impegnativo della sua anima.
La principale preoccupazione di quella «sua numerosa famiglia; di tutti i componenti dal più piccolo in grado di recitare le prime preghiere, al più anziano, era la pratica religiosa. Suo padre negli ultimi anni della vita, reso inabile al lavoro, passeggiava lentamente per i grandi cortili, per i campi o attorno alla casa colonica con il Rosario in mano. Nella sua ultima malattia, quando lo smarriva tra i cuscini, s'inquietava... finché non gliel'avessero rimesso nelle mani.
Ricordo quest'uomo venerando, durante la seconda guerra mondiale, percorrere oltre 30 chilometri in bicicletta per stare vicino al figlio, fr. Cosma, sottoposto alla prima operazione allo stomaco, nell'ospedale di San Vito al Tagliamento. «Io voglio vegliare mio figlio», disse ai frati del convento di Madonna di Rosa che gli avevano apprestato una cella per passarvi la notte. E fu provvidenziale. Proprio quella notte i tedeschi, meglio, i soldati della Gestapo, perquisirono il convento in cerca di partigiani. Cosa avremmo potuto rispondere noi? Come se la sarebbe potuta cavare lui, se l'avessero trovato in convento? Quando già molto anziano si ruppe un femore e fu trasportato all'ospedale, la prima cosa che chiese, quel vegliardo, fu la Santa Comunione e l'Unzione degli infermi.
Ritornando a P. Cosma diremo che «la sua vocazione fu quella di appartenere a Gesù», come di sé stessa disse suor Teresa di Calcutta.
P. Cosma si lasciò possedere da Dio: visse coerentemente e si comportò conseguentemente agli impegni che tale donazione richiede.