In questa nostra era atomica delle macchine, dei motori, delle navette spaziali, ci sono ancora dei vocaboli, delle espressioni, che stentano ad andare in pensione. Per esempio: «Il cavallo di san Francesco», e che significa il bastone d'appoggio. Oppure: «Andare con il cavallo di san Francesco», cioè andare a piedi, perché allora non c'erano le biciclette. Infatti, attualmente, la bici è un mezzo di trasporto povero, per non dire, poverissimo; e proprio in questi giorni torna a rivivere sana e gagliarda, consigliata, magari, dai medici, per la vita d'oggi troppo sedentaria, troppo in... macchina. Per ragazzi e ragazzini, poi, ci sono tutti i tipi di biciclette: piccole, grandi, da sport e da ciclocross: con due, con tre, con quattro ruote: a pedali, a batteria, a forma di piccoli carri armati semoventi. Ma ai tempi che «Berta filava», c'era solo la bicicletta comune, da uomo o da donna, con le lievi differenze organiche per un uso più consono. Allora possedere una bicicletta o avere una bicicletta nuova, era una mezza ricchezza, quasi quasi come possedere oggi una spider. I ragazzi, quando la potevano avere in mano, scorazzavano un po' dovunque, ' sottopalo' — come si diceva — perché avevano le gambe ancora troppo corte per arrivare fino ai pedali. Erano pochi quelli, sui dieci-dodici anni, che fossero notevolmente sviluppati da poter comportarsi in sella come i grandi. Sante era uno di questi fortunati, un favorito dalla dea bendata, leggermente più alto degli altri della sua età, e quindi in grado di poter cavalcare con un certo suo agio.
Tutti, poi, quando potevano inforcarla, diventavano orgogliosi della loro 'macchina'; difficilmente la prestavano agli altri, per paura che la guastassero e correre il rischio di non poterla più usare in seguito, più che per il timore di qualche rimbrotto o di qualche scappellotto da parte di papà o dei fratelli maggiori.
Ma Sante la prestava volentieri, più spesso ancora, caricava sul palo gli amichetti e li portava a spasso.
Gli anziani del suo paese, i coetanei, ricordano ancora questo raro tipo di ragazzo generoso, disponibile, contento d'accontentare gli altri. Un sabato portò in bicicletta, in chiesa, un amico che non voleva andare a confessarsi. Disse solamente: «Aspetta un po' che lo chiedo a papà».
«Babbo, posso prendere la bicicletta? Andiamo fino dal parroco a confessarci e torniamo subito».
«Sì, fate pure, andate adagio, attenti a non romperla e tornate presto».
Così P. Cosma ci ha preceduti non solo in terra d'America, nell'esercizio della virtù e nel martirio, ma anche al suo paese, fin da ragazzetto, ci ha avanzati tutti di molte lunghezze per i sentieri di quelle virtù che si chiamano disponibilità per ogni forma di bene, sensibilità d'animo nel sapersi rendere, con generosità, strumento di gioia per gli altri. Buone inclinazioni, caratteristiche particolari più facilmente riscontrabili nei ragazzi, nei giovani d'oggi — indubbiamente più aperti — che non in quelli d'altri tempi.
Infatti secondo una definizione a loro molto gradita: «Il cristiano è l'uomo che vive per gli altri».
Nostro Signore, più d'una volta, ha rimarcato questo concetto e questa verità:
«Sono venuto per dare loro la vita e perché l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Le testimonianze, le documentazioni, le biografie del P. Cosma, sono concordi nell'affermare che, in questo senso, egli fu un autentico cristiano.

Ha dato generosamente, abbondantemente... tutto sé stesso. Speriamo che sia davvero un bel segno dei tempi!