«Sante l'avvertì da ragazzino, durante un ritiro spirituale tenuto da un sacerdote a Oderzo. Diceva di aver sentita chiara la voce: 'Ti voglio sacerdote'. Da quel momento non ebbe più dubbi. Manifestò la precisa intenzione alla zia Maria. Il babbo soffriva di questa proposta. Ma Sante disse a papà: 'Fai a meno di fumare e con i soldi fammi studiare'. Il babbo rispose che avrebbe anche accettato, ma ci occorrevano ben più soldi. Il parroco del paese lo aiutò nella scelta».
In preparazione, decise di ascoltare ogni mattina la Messa, nonostante le condizioni atmosferiche proibitive e i tre chilometri che distanziavano la sua casa dalla chiesa. Durante il viaggio: «lui io e mia cugina, pregavamo insieme», scrive sua sorella, suor Pia Vittoria. E si fece fratino nel seminario francescano di Lonigo.
Imperversava allora — diciamo così, sorridendo — nei nostri conventi e seminari, l'opera: «Il Francescanesimo», del P. Agostino Gemelli, il grande convertito, ideatore e fondatore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. A lui furono ritorte le parole che «egli aveva indirizzate alla memoria del caro amico e medico Ludovico Necchi»:
«...con la serena armonia del pensiero e delle opere mostrò luminosamente... come viva nel mondo la spiritualità francescana» (1936).
«Il libro d'argomento così vasto, ripete quella grande parola evangelica che san Francesco d'Assisi ha detto agli uomini e che i suoi figli hanno ripetuto per sette secoli in lingue e forme diverse».
Fin dalle prime pagine, poi, l'autore tocca una nota quasi fondamentale, della melodia del francescanesimo, nel mondo di tutti i tempi:
«Il mio libro non solo non esaurisce il vastissimo argomento, anzi lo apre. Ogni lettore potrebbe aggiungere alle mie, altre pagine, ossia quelle del francescanesimo osservato e vissuto da lui».
Nel 1936 il seminarista Sante Spessotto aveva appena 16 anni. Capitatogli fra mano quel famoso libro di cui tutti i frati ne parlavano, lo «divorò» — come direbbe san Giovanni —, gustandone in bocca tutta la dolcezza del miele e provandone nelle viscere tutta l'amarezza del fiele e il rifiuto del sangue (Ap. 10,10).
Il futuro padre Cosma incominciò a sognare evangelizzazioni missionarie, campi d'apostolato: contraddizioni, persecuzioni, martiri.
Con accenti d'entusiasmo ripeteva ai compagni di studio, in sintesi, alcune delle pagine più belle che veniva leggendo e assorbendo:
«Fin dal 1245, appena 19 anni dopo il beato transito di Francesco dalla terra al cielo, il papa Innocenzo IV delegava il nostro confratello, padre Giovanni del Pian dei Carpini, ambasciatore apostolico presso il Gran Kahn dei Tartari. Viaggiava, egli, su di un ciuchino perché molto obeso, non poteva camminare (Corpulentus erat). Il popolo accorreva attorno alla sua umile cavalcatura e i frati lo circondavano come i pulcini circondano la chioccia. Sul pendio della vecchiaia gli offrivano un viaggio terribile. Accettò.
Partì da Lione con un compagno, il giorno di Pasqua nel 1245 e attraverso la Lituania, gli Urali, il Turkestan, la Manciuria, arrivarono a Karakorum il 22 luglio 1246, bene accolti dall'Imperatore. Nello sfarzo della corte orientale, fra quattromila ambasciatori venuti da tutte le parti del mondo, esposero al Gran Kahn la loro ambasceria:
'Noi siamo inviati dal signor Papa, padre della Cristianità. Egli vi invita, per nostro mezzo, a farvi cristiani' (Francescanesimo. Il Duecento).
Dopo di lui, e con più fortuna, nel 1289 frate Giovanni da Montecorvino partì da Rieti e attraverso la Georgia, l'Armenia, la Persia, raggiunse l'India e quindi la Cina».
Il nostro interlocutore passava poi, dalle pagine della storia che interessavano l'Oriente, a quelle dell'Occidente: e il suo discorso non era menu accalorato.
«Anche l'America - diceva — ha intessuto una storia missionaria fatta di trionfi, di successi, di espulsioni e di martiri. San Francesco Solano arrivò al Rio de la Piata, morì a Lima nei Perù dopo aver convertito migliaia d'infedeli. Unico conforto del suo sovrumano lavoro, uno strumento musicale (la lira) e il canto. Si effondeva, e faceva vibrare la sua voce, davanti all'altare della Madonna, con tanta grazia e devozione da commuovere i suoi cristiani appena battezzati».
Frate Luigi Bolaños, a sua volta, convertì i Paraguay.
Contemporaneamente altri francescani, nel Nuovo Messico, battezzavano, costruivano chiese, insegnavano l'agricoltura, arti e mestieri. (Non lo dimenticherà più, P. Cosma in El Salvador).
Ma in Canada, padre Nicol Niel finirà i suoi giorni martire, gettato nel fiume Quebec... inserendo il suo nome nel martirologio francescano.
Con queste visioni dinanzi agli occhi, con questi pensieri nella mente, con queste aspirazioni nel cuore, P. Cosma aveva coltivato l'ideale missionario per il curricolo degli studi, per tutto il periodo della formazione spirituale. Anzi siamo convinti che intimamente egli è riuscito a realizzare molto di più e molto meglio di quanto è stato possibile, a noi, di ricostruire.
Man mano che gli anni passavano, la sua anima s'accendeva, s'illuminava con le notizie che i confratelli missionari facevano giungere dall'oriente cinese. Il desiderio di raggiungere, comunque, un paese di missione, si faceva sempre più vivo, più impellente, più irresistibile.
II cammino del sacerdozio lo forgerà, il carisma della consacrazione lo troverà pronto con il piede alzato.

Egli continuerà l'opera, cioè il libro del P. Agostino Gemelli, aggiungendo qualche bella pagina in più di quel «Francescanesimo osservato e vissuto da lui».