Verso gli anni sessanta erano sorti in quelle contrade, e si diramavano un po' dovunque, dei movimenti religiosi cosiddetti 'carismatici'. Qualcuno diceva che non sempre e non tutti avevano le idee chiare e soprattutto ortodosse al cento per cento.
In seguito a qualche esagerazione, sia pur marginale, c'era stato anche qualche intervento dell'autorità diocesana, allo scopo di limitare certe manifestazioni un po' spinte e di evitare possibili deviazioni. I 'carismatici', per esempio, usavano imporre le mani sulla testa dei partecipanti ai cursillos, che erano dei corsi d'istruzione religiosa: una specie d'esercizi spirituali, nei quali prevale la predicazione di carattere informativo e aggiornativo. Altre volte in chiesa, durante le sacre funzioni, accompagnavano i canti con il battito delle mani.
In qualche parrocchia particolare, che si riteneva più avanzata delle altre, si facevano girare dei messaggi scritti, cioè delle precise volontà di Dio, espresse solo attraverso i carismatici.
Cose tutte che, più o meno energicamente, erano state denunciate, disapprovate e anche proibite dai vescovi. Purtroppo bisogna aggiungere che non tutti e non sempre, sacerdoti e parroci, accolsero benevolmente le direttive dei successori degli apostoli.
P. Cosma accettò con venerazione le disposizioni del suo vescovo, senza minimamente indagare sulle sue intenzioni, e obbedì ciecamente. Il suo vero 'carisma' era l'obbedienza, come l'intendeva san Francesco:
"I frati siano sempre sudditi e soggetti ai piedi della santa madre Chiesa" (Reg: Cap. 1).
"Io non voglio predicare nella diocesi d'alcun vescovo quando da lui me lo sia stato vietato" (Reg: Cap. IX e Test.).
(Per comprendere nella sua pienezza queste parole del santo d'Assisi, bisogna ricordare che egli aveva ricevuto direttamente dal papa l'autorizzazione di predicare dovunque il Vangelo del Signore).
Per questo suo atteggiamento, P. Cosma, con infinito dolore del suo animo, fu costretto ad affrontare delle situazioni critiche in mezzo ai suoi stessi parrocchiani. Con indicibile amarezza notò che alcuni gruppi di suoi fedeli, alla domenica, preferivano recarsi nelle vicine parrocchie per incontrarsi con quei carismatici locali che perseveravano nei loro abusi, più o meno riprovevoli. Per qualche tempo dovette accettare la taccia di "parroco non buono", ma non disarmò. Avvicinò i confratelli delle parrocchie circonvicine e li esortò ad uniformarsi ai desideri dei vescovi, unici responsabili del bene delle anime. Li convinse a non voler aggravare le loro coscienze, creando o permettendo precedenti, difficilmente riducibili, poi, all'obbedienza e alla normalità.
A tutti non si stancava di ripetere:
"Quando i vescovi comandano noi dobbiamo essere i primi ad obbedire".
La sua obbedienza era cieca, non solo ai vescovi, ma anche ai suoi superiori.
Ritornato dalla vacanza in Italia fu accolto trionfalmente dalla sua gente anche per le celebrazioni già programmate per il suo venticinquesimo di parrocato a San Juan Nonualco. Non pochi si stupirono nel sentirlo proclamare, prima in chiesa e poi al pranzo ufficiale:
"Sono con voi, vi amo con tutto il cuore: desidero finire i miei giorni in mezzo a voi, ma sono disposto ad andare sempre dove i superiori mi vorranno mandare,».
In una lettera al suo superiore, in data 28 dicembre 1978, diceva:
"Riceva il mio rispettoso saluto, con la stima sincera che ho sempre avuto per i miei superiori".
Quando fu deciso il suo trasferimento a Zaca- tecoluca, dopo 27 anni d'apostolato a San Juan Nonualco, rispose al superiore in questi termini:
"Voglio manifestarle la mia devota obbedienza. È un voto che ho fatto a Dio e sarei infedele a Lui e a me stesso se ora cercassi ostacoli, anche se obbedire duole".
Probabilmente i superiori avevano intuito che la sua vita era in pericolo e avevano cercato di proteggerlo allontanandolo almeno provvisoriamente. Qualche settimana più tardi incalzava esemplarmente di fronte alla vastità della nuova parrocchia:
"Riconosco, i miei limiti. Nonostante, accetto l'obbedienza confidando in Dio e disposto a soffrire per suo amore. La sofferenza mi aiuterà a confidare meno in me stesso e più nel Signore".
Se le sue parole, finché fu in vita, non ottennero il frutto che si meritavano, ora che il suo sangue è stato sparso per la salvezza di tutti, alla sua patria di adozione, ottenne anche questa grazia: in San Salvador le buone idee hanno segnato il passo, quando non volessimo insinuare che "hanno già trionfato": le deviazioni sono rientrate e non sembrano più preoccupare l'integrità e l'ortodossia della Fede. I confratelli hanno sempre una lucerna posta sul candelabro, alla quale possono guardare per essere illuminati nel loro cammino e nelle opere del loro ministero.