«Desidero rivolgere ora un pensiero tutto particolare al popolo di El Salvador.
El Salvador: un nome che evoca in tutti i cristiani un senso profondo di riverenza e di amore; è l'unico Paese del mondo che porta il nome santo di Gesù, Figlio di Dio e Salvatore dell'uomo.
In questi mesi, il popolo salvadoregno, angustiato da una guerra fratricida che/non accenna a placarsi, sembra essere stato associato alla passione del Signore. Quasi ogni giorno sono uccise centinaia di persone, e si allarga la schiera dolorosa delle vedove, degli orfani, mentre una folla di profughi, che supera già le centinaia di migliaia — in un Paese che ha tre milioni e mezzo di abitanti — cerca riparo sulle montagne o nelle vicine nazioni. La guerriglia lascia lutto nelle città e nei villaggi e distruzione di ponti, strade, installazioni economiche di vitale importanza; dall'altro lato non è meno dura e severa l'azione dei gruppi armati intesa a soffocare i focolai di opposizione.
Più volte i Vescovi del Salvador hanno levato la loro voce angosciata di Pastori per supplicare che si ponga fine alle violenze e che il Paese sia messo in condizione di darsi un assetto sociale giusto e pacifico.
Il dramma del Salvador provoca una vasta eco nel mondo, con differenti reazioni a favore dell'una o dell'altra parte, mentre la popolazione locale, vittima incolpevole, paga un prezzo altissimo di lacrime e di sangue.
"Le armi vengono dall'estero — ha gridato l'Amministratore Apostolico di San Salvador, mons. Rivera Damas — ma i morti sono tutti della nostra gente!".
Non sarebbe da augurare che questa emozione internazionale, anziché riprodurre su scala più grande la contrapposizione che lacera il piccolo Paese, si volgesse a uno sforzo comune perché abbiano a cessare le stragi e il popolo di El Salvador possa risolvere, senza strumentalizzazioni esterne, i gravi problemi che lo affliggono? Se prevarrà questa ricerca del bene di tutti, non sarà impossibile superare gli ostacoli, anche quelli che appaiono insormontabili per ritrovare la strada della pacificazione e della riconciliazione".

(Osservatore Romano del 4-3-1982)./