«Aggiungi un posto a tavola che c'è un amico in più: se sposti un po' la seggiola c'è posto anche per lui».
Ai nostri tempi, cioè quando Sante Spessotto era bambino, i poveri usavano passare di casa in casa, a chiedere l'elemosina, meglio: «la carità per amor di Dio». E la gente usciva fuori con un minestro o una scodella di farina bianca o gialla, e mentre essi si allontanavano ringraziando, (noi) si commentava: «Intanto questa sera, si fa la polenta anche lui, poveretto».
Molte famiglie dei campi, allora, se a mezzogiorno, mentre erano seduti a tavola, sentivano bussare alla porta..., ed era un mendicante. Io facevano entrare, restringevano i più piccoli, i bambini, aggiungevano una sedia e lo facevano accomodare.
La sapevano tutti a memoria la bella pagina del Vangelo:
«Dar da mangiare agli affamati: dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, visitare gli infermi!» (Mt 25,37).
Quante volte, mamma e papà Spessotto, ripetevano in casa la predica del parroco: «Voi sapete, che l'ultima pagina della storia del mondo si chiuderà con un bicchiere d'acqua fresca dato a un povero: con un pezzo di pane dato a uno che ha fame! Alla fine della vita saremo giudicati sull'amore!».
Un giorno, verso la fine del pranzo, si sentì bussare alla porta. Sante corre ad aprire. E Celestino, un vecchietto ciecuziente che tutti conoscevano.
«Papà, lo faccio entrare?» — chiede.
«Sì, fallo entrare. Diamogli un piatto di minestra calda».
Entrò, si sedette a tavola e Sante corse... a sedersi sul focolare.
«Cosa fai», — chiese il babbo.
«San Francesco, quando ha dato da mangiare ai briganti, si è andato a sedere sulla cenere. Lo ha detto la maestra l'altro ieri, a scuola» — rispose il bambino.
Tutti si misero a ridere, anche Celestino, perché lui... non era un brigante, né Sante intendeva dire questo, certamente. Ma vorremmo scommettere che la verità, nessuno la sapeva bene.
La maestra a scuola, qualche giorno prima, aveva, sì, parlato dei tre ladroni e di san Francesco! Come il santo avesse comandato al frate portinaio di rincorrerli; come li volle, con i frati, a tavola preparata con tovaglie bianche e ogni ben di Dio, e che... li volle servire lui, di persona. Quelli poi, sfamatisi, se n'andarono, ma dopo qualche giorno ritornarono e chiesero di farsi essi stessi frati, e vissero nell'Ordine e morirono in concetto di santi.
Poi aveva raccontato anche che un giorno san Francesco, per un atto di grande umiltà, si presentò alla porta del convento e gridò:
«Per amore del Signore fate l'elemosina a questo pellegrino».
I frati, che non avevano riconosciuta la sua voce, corsero ad aprire, e risposero:
«Entra qui, buon uomo per amore di Colui che hai invocato».
Gli danno una scodella di zuppa… ed egli tutto solo si siede per terra, posandola sulla cenere.
Quando di lì a poco s'accorsero, immaginate lo stupore che incusse il pellegrino ai commensali!
Ma Francesco prese a dire, senza alzare gli occhi:
«Ora sì che sto seduto come un vero frate minore».
Quindi alzando lo sguardo in volto, mestamente aggiunse:
«Ho visto la tavola ben preparata, e non l'ho riconosciuta per quella dei poveri che vanno
chiedendo l'elemosina».
Bisognerebbe aggiungere che il Celano, lo storico di san Francesco, osserva:
«Avvenne una volta, il dì di Pasqua, che i frati nell'eremo di Greggio preparassero la tavola con maggior cura del solito, con tovaglie di bucato e vasi di vetro...».
Ma il santo non vi aveva visto, seduto con loro, nessun poverello di Cristo (FF 1858. Cap. XXVI dei «Fioretti»).
Sante aveva fatta una confusione del diavolo, aveva proprio mescolato insieme ebrei con samaritani. Aveva fatto un allegro polpettone alla Fra Ginepro secondo i «Fioretti di san Francesco». Beh, rileggiamo insieme quelle due righe di paradiso... terrestre:
«Dice il Padre Guardiano:
'Frate Ginepro tutti noi andiamo fuori, tu solo rimarrai. Fa un po' di cucina a ricreazione de' frati'.
'Lasci fare a me' — disse frate Ginepro. E dice a sé: 'Che sollecitudine superflua è questa, che ogni dì, uno, di continuo, sia perduto in cucina: che tutto quel tempo si potrebbe spendere in orazione?'.
E così tutto sollecitato va alla terra, e accatta parecchie pentole grandi per cuocere, e procaccia carne fresca e secca e polli e uova ed erbe in copia, e ricoglie legne assai, e mette a fuoco ogni cosa insieme, cioè polli con le penne e uova col guscio, e conseguentemente tutte le altre cose.
Ritornando i frati al convento, uno al quale era nota la semplicità di frate Ginepro, entrò in cucina... ragguarda con quanta sollecitudine egli fa cucina!... Però che il fuoco era mollo grande e non potea molto bene appressarsi a mestare le pentole, piglia un'asse e con la corda la si legò al corpo mollo bene stretta: e poi saltava da una all'altra pentola, ch'era un diletto a vederlo. Uscito fuori disse agli altri. 'Io vi so dire che frate Ginepro fa nozze'. E frate Ginepro lieva quelle sue penlole... e fa sonare da mangiare... e tutto rubicondo per la fatica e per lo calore del fuoco dice a' fratelli: 'Mangiate bene, e poi andiamo tutti a orazione'. E pose questa sua poltiglia sulla mensa... Loda frate Ginepro questa sua cucina, in ogni maniera... che i frati nemmeno poterono toccare».
(Da: «I fioretti di San Francesco», Davico Bonino).
Qualche missionario. P. Cosma compreso, ci confermarono che più di qualche volta... mangiarono la mezza zuppa di frate Ginepro, seduti a terra, in piedi, camminando, in cerca dei loro fedeli, sparsi per le aldee (contrade) dei monti, delle spiagge, dei fiumi!

E a quanti bambini, P. Cosma, portava pane, vesti, medicine. Una foto lo ritraeva: «Gioia e candore di P. Cosma (1970) in una strada della sua parrocchia. Coi bambini sprizzava un fascino straordinario».