Si legge nella vita del santo curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, che di quando in quando, con immensa gioia, si baciava le mani pensando che con esse poteva trattare il Corpo e il Sangue di Cristo: che esse servivano, nel ministero sacro, per l'amministrazione dei santi sacramenti, specialmente del Battesimo e della Confessione.
E ripeteva spesso: «È una vera e grande grazia del Signore che il sacerdote stesso non riesca a comprendere e a conoscere la realtà sublime del suo sacerdozio, altrimenti non sarebbe in grado di reggere a tanta grandezza».
Qualcosa di simile accadde nella vita, meglio, nella giovinezza del P. Cosma ancora seminarista. Queste belle espressioni le hanno raccolte dalla sua bocca i suoi stessi parenti e se le sono tramandate a viva voce, come una specie di eredità sacra.
In un momento d'intimità, conversando affettuosamente con papà, uscì con queste parole: «Tu sei mio padre: ti voglio tanto bene e ti ringrazio e ti ringrazierò sempre per quanto hai fatto per me, ma un giorno anch'io sarò padre, padre di tante anime; e i fedeli mi chiameranno 'padre', perché io sarò il loro sacerdote».
Allora possiamo senz'altro affermare, e senza timore d'esagerare, che tutto l'impegno dello studio, l'adattamento giulivo alla disciplina, lo sforzo costante di correggere, modellare, perfezionare il suo spirito, l'assillo continuo dell'ascesi verso la propria purificazione e santificazione, avevano in frate Cosma un unico fine, erano sorretti da un unico ideale: prepararsi al sacerdozio, essere, un domani, un buon sacerdote.
Il giorno della consacrazione, fuori di sé dalla contentezza, esclamò:
«Ma è proprio vero che sono sacerdote? Quanto è Buono il Signore! Quanto è stato Buono con me. Benedirò il Signore in eterno».
«Un giorno frate Masseo disse al beato Francesco, facendosigli incontro e quasi proverbiando:
"Perché a te, perché a te, perché a te! Dico perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che desideri di vederti e d'udirti e d'ubbidirti. Tu non sei bello uomo del corpo; tu non sei di grande scienza, tu non sei nobile, donde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?» (F.F. - 1838).
Frate Masseo, volutamente, nella sua filastrocca negativa, s'era dimenticato di aggiungere:
«Tu non sei buono». Noi ci chiediamo, oggi: «Perché tutti parlavano di P. Cosma, quand'era ancora vivo! Perché ne cercavano l'amicizia, la compagnia? Perché ora che è stato sacrificato, tutti lo invocano e narrano miracoli?».
Di proposito rispondiamo: «Perché P. Cosma era buono».
Quante volte ripeterà nella sua vita le parole di san Francesco d'Assisi:
«Non sono bello, non sono bravo, non sono nobile, non sono intelligente, ma sono sacerdote del Signore!».
Erano diventate un ritornello per lui e per i confratelli in terra d'America. Non c'è compagno che non le abbia sentite da lui in tantissime occasioni. Non c'è confratello che non gliele abbia ripetute confidenzialmente, amichevolmente, in altrettante circostanze, nei loro fraterni incontri.
«P. Cosma credeva profondamente nel suo sacerdozio». San Francesco scriveva, nel suo testamento spirituale indirizzato a tutti i suoi fratelli:
«Io voglio amare, riverire, temere e onorare i f sacerdoti tutti di questo mondo come miei signori. Mi comporto così perché io, in questo mondo, non vedo altro dell'Altissimo Figlio di Dio, se non il santissimo Corpo e il santissimo Sangue suo, che essi soli consacrano e dispensano agli altri».
Veramente nessuno era più felice di P. Cosma, all'altare, attorno all'altare: felicità che veniva spesso scambiata per troppa semplicità. Egli aveva l'anima sul volto, il genuino volto di Dio e di san Francesco d'Assisi. Egli possedeva una virtù forte amabile e soave insieme:
«la convinzione della grandezza, della santità del sacerdozio cattolico».

Egli viveva tutti i giorni, tutte le ore della sua vita, confortato da questo «dono» di cui la Bontà del Signore s'era degnata di investirlo.