Trasalì di gioia quando, nei primi mesi del 1948, il P. Provinciale mandò a chiamare lui e un altro chierico e disse: «Voi due, andate a Villaverla (VI) e fatevi fare un bel clergyman perché appena ordinati sacerdoti partirete missionari».
P. Cosma non ci stava più nella pelle, mentre io — ricorda fr. Filiberto Dal Bosco — rimasi di stucco, quasi contrariato. Non che fossi decisamente contrario, ma nemmeno ci avevo mai pensato, seriamente, alla vita missionaria, se non alla sfuggita, in qualche momento d'esuberanza, più che di vero entusiasmo.
Fr. Cosma s'era già lasciata crescere una simpatica barbetta che si accarezzava con le mani, che si stringeva fra le dita come per raccogliere, concentrare, consolidare, cementare tutti i pensieri della mente.      E ripeteva spesso in quel tempo:
«Quando potremo levare le ancore!...
Quando potrò salpare i mari!...
Quando potremo sciogliere gli ormeggi!...
Quando saliremo a prora?...».
Nei giorni immediatamente successivi all'ordinazione sacerdotale, presentò regolare domanda di partire per l'Oriente, come dice la Regola di san Francesco:
«Quei frali che per divina ispirazione vorranno andare tra i Saraceni e tra gli infedeli ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali (superiori). I ministri poi non diano a nessuno il permesso se non a quelli che ritereranno idonei ad essere mandati» (Cap. XII).
E insistette presso di me perché anch'io allegassi la mia domanda insieme alla sua. Mi riempì la testa, la mente, il cuore, delle sue sante esaltazioni..., ma non mi risolvevo a decidere... Non presentai affatto richiesta. Pochi giorni dopo, i superiori chiamarono lui, non me, e gli dissero a malincuore che non si poteva più partire per la Cina e che consideravano, per il momento, chiusa l'evangelizzazione di quel Paese.
Infatti, in quel periodo, dal 1940 in poi, correvano anni difficili. Le circostanze storiche della salita al potere del comunismo con Maotsetung cambiarono le convinzioni, le mentalità di molti. Tra l'altro, sotto la forte spinta di ideologie politiche, le relazioni tra l'Impero Celeste e la Chiesa, tra il clero locale e la Curia Romana, registravano dolorosi conflitti di carattere disciplinare. Ma forse sotto la cenere covava qualcosa di più serio. Si voleva una Chiesa, unita sì, nella Verità della Fede, ma indipendente dal lato organizzativo, sottratta al magistero ed al «Primato di Pietro», istituito e voluto da Gesù Cristo che aveva detto a Simon Pietro:
«Pasci le mie pecorelle.
Pasci i miei agnelli» (Gv 20,15-16).
Ricevuta questa triste notizia, impallidì, ma non smise di coltivare nel cuore il desiderio del servizio missionario. Lo vidi piangere di amarezza... Tuttavia dichiarava di sentire distinta dentro di sé la voce del Signore che, un giorno o l'altro, l'avrebbe chiamato in terra missionaria per farLo conoscere ai popoli.

Vistasi preclusa quella via — continua P. Filiberto — diede un colpo di timone alla barca della sua vita e girò la domanda per l'oltre oceano e chiese di recarsi in Centro-America, nelle missioni, appena aperte, del Guatemala e dell'El Salvador (1948). Si preparò con una intensa vita spirituale: preghiera, lieta obbedienza, meditazione, mortificazione «corporale», per ottenere dal Signore il dono di saper evangelizzare le anime. Fu destinato alla Repubblica dell'El Salvador, una delle nazioni più povere del continente americano, almeno 40 anni fa.