P. Cosma, nella mente di quanti lo conobbero, fu una lampada ardente che bruciando d'amore per l'Eucaristia, si consumò per illuminare e indicare la Presenza di Dio nel tabernacolo, nelle chiese. Di lui infatti fu scritto:
«Questa sua profonda Fede in Cristo-Eucaristia, presente nel Tabernacolo, lo aveva reso una fortezza inespugnabile agli stessi gruppi ribelli»...
«La chiesa è la casa di Dio, è il luogo della Presenza reale di Cristo nella Eucaristia, dove Egli si dona agli uomini come cibo di salvezza, di perdono, di pace...».
Un'altra nota caratteristica della figura di P Cosma, fu la sua «passione» per i ragazzi, per i giovani: soprattutto per cercare di scoprire qualche vocazione al sacerdozio, alla vita religiosa Ne raccolse buoni frutti. Poco dopo la sua morte un giovane della sua terra di missione, da lui educato, curato ed incamminato verso l'altare del Signore, fu consacrato sacerdote. Qualche mese fa un secondo giovane salvadoregno salì l'altare di Dio: altri sono in cammino. Nella preparazione dei bambini alla prima Comunione, si faceva aiutare dai catechisti che lui stesso aveva preparati, ma egli non mancava mai alle istruzioni.
Ogni anno, nella sua parrocchia, celebrava le «40 Ore»: la prima giornata era per i bambini, dai piccolissimi ai più grandicelli: la seconda giornata, per le donne tutte, vicine e lontane: la terza giornata per tutti i giovani e gli uomini.
Attendeva i suoi fedeli, che si alternavano nell'adorazione al Santissimo, a braccia aperte, sulla porta della chiesa che si apriva sull'ampia maestosa gradinata.       
Li salutava tutti, sorridendo:  «Pace e bene a tutti».
«Sia lodato Gesù Cristo».
«Bene arrivati».
«Dio vi benedica».
Poi li accompagnava dentro il tempio, recitava insieme alcune preghiere, teneva un breve fervorino d'intonazione liturgica, intonava una canzoncina alla Madonna...: quindi li lasciava liberi per le loro devozioni, per le loro iniziative.
Quando si recava nelle frazioni della sua parrocchia per una celebrazione, per una visitino agli ammalati o per un incontro pastorale, non mancava mai di ripetere (o di sentirsi recitare) le parole del profeta Samuele a lesse e che la sua gente ormai aveva imparate a memoria:
« Pacificusne ingressus tuus?».
«È pacifica la tua visita!, portatrice di pace?».
«Siii — rispondeva — È di buon augurio. Sono venuto per sacrificare al Signore» (1 Sam 16).
E continuava: «Vengo a trovarvi, a portarvi un saluto, a farvi un augurio, a impartirvi una benedizione. Avevo voglia di vedervi. Come sta Tizio? Come stanno i vostri malati? Come state voi?».

Qui si fermava, là stringeva una mano: qui accarezzava un bambino, là tagliava l'aria per rispondere ad un saluto più discosto. Due passi avanti, uno indietro: ora avanzava come sospinto da un'onda tranquilla del mare, ora s'arrestava per rispondere a tante domande confuse...: contento che un piccolo gregge avesse finalmente trovato un pastore: felice di sentirsi operaio della messe.