“Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10,21).
Oggi, nel primo anniversario del suo olocausto, celebriamo l'azione dello Spirito Santo nella vita di questo piccolo. Avvicinarci al mistero di 'questo uomo' significa avvicinarci al mistero di Dio, del Quale l'uomo è una immagine. Più passano i giorni, più cresce e si fa gigante in noi la statura spirituale e morale di questo nostro confratello, della cui luce tutti siamo stati illuminati.
Lo vedo e lo rivedo leggermente curvo... senza attrattive fisiche. Con quella tipica sanità mentale, ereditata dalla sua origine contadina, poteva ben sorridere su sé stesso e burlarsi della sua leggera inclinatura! Può darsi che abbiano influito sul suo sviluppo le ripetute ulcere al duodeno e allo stomaco che lo tormentarono fin dalla fanciullezza, per cui se la sua esistenza fu caratterizzata da un continuo stato di sofferenza fisica, la sua anima s'arricchì d'una straordinaria sensibilità umana e di una commovente amabilità spirituale.
Fu d'indole paziente ma di carattere costante, perseverante, tenace, sia nei suoi studi come nei suoi propositi e nei programmi di lavoro. “Santamente testardo”, lo definì un compagno di classe. “Uomo di una sola idea, come i grandi”, lo tratteggiò un altro. “Fante della santa madre Chiesa”, lo additava un terzo. Aveva un'anima angelica, trasparente, come quella di un bambino e come tutti i bambini aveva bisogno d'essere ascoltato. Bastava toccare uno dei suoi argomenti prediletti per vederlo trasformarsi in cascate, in valanghe: “... La sua uva era migliore di quella della Terra Promessa: la sua chiesa, degna di stare a Roma e il campanile poteva ben figurare a Firenze!”.
Dopo la sua morte, per confidenze amichevoli, siamo venuti a sapere che aveva fatto a Dio questa promessa: “Non andrò mai al cinema, non voglio vedere films, giacché portiamo un tesoro (la castità) in vasi d'argilla”.
Il primo sacerdote francescano di San Giovanni Nonualco, giunto all'altare per l'apostolato vocazionale del P. Cosma, lasciò scritto: “Ciò che alimentò la mia vocazione al sacerdozio fin dalla fanciullezza, fu la sua vita di orazione”.
Il suo vescovo attestò: “Nelle visite che facevo alla sua parrocchia, anche non programmate, se non proprio di sorpresa, quasi sempre lo trovavo o in chiesa, o al confessionale, o in sala per la catechesi. Era un uomo di pietà: un asceta”.
Agli inizi del 1980 c'incontrammo ad Antigua (Guatemala) in occasione di un ritiro spirituale per sacerdoti. Erano alcuni anni che non ci vedevamo! Alla sera, data la penuria di stanze, decidemmo di condividere noi due la stessa camera per riposare la notte, anche per ricordare i vecchi tempi della giovinezza trascorsa insieme in Italia. Accettò di buon grado, ma appena ci siamo ritirati in cella lo vidi prendere in mano il breviario, sedersi sulla sponda del letto, fare un bel segno di croce e iniziare la preghiera. Alla mia sorpresa: “...Ma P. Cosma, abbiamo pregato tutto il giorno insieme agli altri: poi abbiamo aggiunto le nostre particolari devozioni, nella cappellina della Madonna...”, mi rispose: “Dal tempo del noviziato, mai ho tralasciato le ore liturgiche se non quando dovetti subire le operazioni allo stomaco”.
Mi hanno raccontato la sua emozione quando, nel venticinquesimo del suo sacerdozio, poté consacrare, insieme al vescovo che volle intervenire alla festa, il vino che era riuscito a far maturare dalle sue vigne. Qualche anno più tardi, su quello stesso altare, in quella stessa chiesa, verserà il suo sangue.
“Fu un sacerdote che con la sola sua presenza, che con il suo modo di trattare l'Eucaristia, suscitava, ravvivava la fede nei suoi fedeli”.
Più che fratelli, i suoi parrocchiani li considerava figli, ai quali si sentiva in dovere di dare la vita come vero padre e come vera madre di tutti, sull'esempio di san Francesco che dice nella Regola al capitolo VI:
“... poiché se una madre nutre e ama il suo figlio carnale, con quanta più amorosa cura deve ciascuno di noi amare e nutrire il suo fratello spirituale!”.
Negli altri, nei fratelli, sapeva intravvedere solo la loro anima. Basta rileggere la lettera aperta che indirizzò nel 1971 alle copie di sposi, della sua parrocchia, uniti senza il vincolo del sacramento, per rendercene esatto conto.
Li esortava, li supplicava di approfittare della “crociata di matrimoni religiosi” che aveva organizzata, per mettersi in grazia di Dio e provvedere così alla salvezza delle proprie anime. E quante ne programmò di queste settimane! La bella e grande scuola parrocchiale, da lui voluta e realizzata, avrebbe dovuto servire innanzi tutto per questo: formare generazioni di bambini, di giovani, alla vera vita cristiana. L'amore, la cura, la dedizione che impiegava nella coltura delle vocazioni sacerdotali e religiose erano proverbiali tra di noi. Ha mandato nei differenti seminari non meno d'una quarantina di ragazzi, e chissà quante ragazze in convento! Soleva ripetere con profondissima saggezza: “Volete salvare la società, il mondo? Seppellite in clausura delle anime giovani che sappiano pregare dalla mattina alla sera”. Evidentemente quel verbo seppellire era una reminiscenza letteraria: “Le sepolte vive”.
Con quanto amore, poi, sapeva organizzare fino nei minimi particolari le vacanze dei suoi seminaristi, perché alla pari con un meritato riposo continuassero a coltivare le loro aspirazioni e si esercitassero nei piccoli doveri pastorali. Suo intercalare era: “Se la perfezione sta nelle piccole cose, la buona riuscita sta nei dettagli”.
Nessuno più di lui amò la fanciullezza e la gioventù. Nessuno più di lui ne seguì e curò lo sviluppo fisico e spirituale, con un'appassionata intensa educazione cristiana e, nello stesso tempo, escogitando sempre nuovi metodi di lavoro, suscitando le più svariate iniziative di carattere occupazionale, dando vita a movimenti d'intonazione sociale, più di quanto non s'è potuto sapere e raccogliere dalla sua permanenza in terra di missione. Si sa che per le anime affidate alle sue cure pastorali egli fu vino di consolazione, refrigerio alla loro sete di religiosità, sollievo al loro desiderio di amore evangelico: fu pane di verità, di giustizia, di perdono, di conforto.
Padre Cosma aveva idee chiare riguardo alla missione della Chiesa nel Salvador, specialmente in quei momenti difficili. In una lettera confidenziale al periodico cattolico “Orientacion” scriveva: “La Chiesa deve possedere molto criterio, per saper approvare il bene dell'una e dell'altra parte, ma deve avere anche molto coraggio per saper denunciare gli errori dell'una e dell'altra parte sempre in conflitto”.
Il suo vescovo non esitò mai a sottolineare che P. Cosma: “Interpretò sempre il Vangelo come un buon discepolo di Cristo e lo predicò sempre rettamente”.
In una delle sue ultime lettere ai fratelli e nipoti, in data 7 gennaio 1980, scrive: “La lotta fra le fazioni opposte investe, coinvolge involontariamente anche la Chiesa, che deve pur condannare i delitti sia degli uni come degli altri. Questo atteggiamento di 'madre' non è sempre ben visto agli occhi degli estremisti che la vorrebbero ciascuno dalla propria parte per legittimarne gli abusi. Per questo motivo io stesso mi sono trovato molte volte in difficoltà, per il dovere che ho di parlare chiaro e di oppormi energicamente alle fazioni che, con armi alla mano, assaltano le chiese per trasformarle in trincee o in tribune politiche con le profanazioni che ne conseguono. Questi soprusi evidentemente non lasciano senza rischi la vita dei sacerdoti e dei buoni fedeli. Nonostante tutto, io vivo tranquillo anche davanti alle minacce. Confido nel Signore. Mi metto nelle sue mani, Egli mi assisterà. Domando anche a voi una preghiera perché Dio mi aiuti a conservare la serenità dello spirito e mi dia la forza per non mancare mai al mio dovere, anche di fronte ai pericoli”.
P. Filiberto Dal Bosco raccolse uno dei suoi ultimi avvisi fatti in chiesa e scandito con la fermezza dei martiri:
“Vi prego, vi scongiuro di non interpretare negativamente, né di dare un significato politico alle visite che compio presso le autorità ecclesiastiche, civili, militari o ai capi-fazioni sia di destra che di sinistra. Lo faccio perché mi muove, m'incalza la mia vocazione di sacerdote e di francescano: perché è il mio dovere di pastore di non trascurare nulla che possa giovare a por fine alla violenza che si è scatenata nella nostra provincia che di Pace ha solo il nome” (Dipartimento: La Paz).

La “fede adulta” si manifesta, ili modo eminente, nell'amore verso i nemici. Gli ultimi appunti scritti a macchina, per l'omelia del giovedì santo, sono tutte citazioni bibliche inneggianti all'amore, tratte dal discorso delle beatitudini di Gesù e dal vangelo di san Giovanni: “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri: se vi amerete come io vi ho amato”. Gesù ha amato fino al sangue sulla croce, P. Cosma ha imitato il Maestro fino allo spargimento del sangue.
Il giorno del funerale del P. Cosma, una madre che aveva avuto un figlio ucciso dai guerriglieri sotto i suoi occhi, salì all'ambone per la preghiera dei fedeli e disse, singhiozzando:
“Nel nome di Cristo perdono agli assassini di mio figlio, come ci ha insegnato il nostro parroco, P. Cosma e com'egli è morto, oggi, invocando perdono per i suoi crocifissori”.
Queste parole prima d'essere un panegirico, sono il più alto elogio del Vangelo del Signore. (Da un dossier di P. Natale Durigon).