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FRANCESCO DALL’ONGARO

Nel 2003 ricorrerà il 130° anniversario della morte di un illustre letterato del nostro territorio, che ebbe una parte significativa nel movimento risorgimentale, troppo prematuramente dimenticato per le sue idee indipendenti e libertarie.
Si tratta di Francesco Dall’Ongaro, nato a Mansuè il 19 giugno 1808 e trasferitosi bambino a Oderzo, quindi a Venezia dove iniziò gli studi seminariali, conclusi con l’ordinazione a Padova nel 1832. Il suo spirito libero ed insofferente delle ingiustizie sociali, gli causò l’ostracismo tanto degli ambienti clericali che di quelli governativi, tanto che per ritrovare pace si stabilì a Trieste. Entrato in contatto con il fiorente ambiente intellettuale ed imprenditoriale giuliano, nel 1836 iniziò a collaborare con il periodico letterario e di varia attualità “La Favilla”, della quale divenne direttore nel 1838. Alla direzione, mantenuta fino alla chiusura della testata, agli albori del movimento risorgimentale, nel 1846, Dall’Ongaro impresse un taglio personale di spiccato impegno sociale e civile, profuso in tante campagne di progresso. A Trieste, infatti, si occupò con esemplare precocità di questione femminile, di condanna della pena di morte (con il celebre dramma “Il Fornaretto di Venezia”), di difesa delle culture altre (del Sud Italia, slave, istriane), delle scuole di canto popolare, degli asili infantili, delle case di accoglienza per popolane. È sulla “Favilla”, a contatto con collaboratori del calibro di Pacifico Valussi, primo giornalista friulano, Niccolò Tommaseo, Luigi Carrer, Caterina Percoto, Tullio Dandolo, Graziadio Isaia Ascoli, Angelo Brofferio solo per citarne alcuni, che fissa e sviluppa i punti saldi della sua impostazione filosofica e morale, alla base della produzione giornalistica e letteraria. Fondamentale è la convinzione dell’utilità dell’arte nella redenzione morale e civile del popolo, da qui la promozione di una letteratura didascalica rivolta alla classe di mezzo, quella borghese, individuata come la prescelta a cambiare la società. Tutta la produzione letteraria di Dall’Ongaro è informata a questo principio espresso attraverso la caratterizzazione dei protagonisti (tutti plebei) delle quattro raccolte di novelle e tramite la scelta degli argomenti da trattare negli articoli di giornale. Ma la rappresentazione di scene, situazioni e ambienti popolari si tinge in Dall’Ongaro di una più aggressiva denuncia sociale che non si ferma, comunque a fornire paternalistici insegnamenti ai disadattati, ma punta il dito esplicitamente contro le responsabilità dei ceti abbienti e del clero del tempo. È il caso delle novelle “Il pozzo d’amore”, in cui una giovane madre analfabeta, sedotta ed abbandonata da un nobiluomo, sottrae ad un’esistenza di stenti, il suo piccolo, gettandolo in un pozzo, e per questo viene giustiziata; “Nannetta”, la cui protagonista è un’orfana maltrattata da tutti in quanto “straniera” e “Di chi la colpa?”, in cui le responsabilità di un omicidio commesso per amore da una ragazza del sottoproletariato urbano è attribuito ai fattori sociali (miseria, ignoranza, indifferenza, sfruttamento) che l’hanno reso possibile. Dopo la chiusura del giornale, Dall’Ongaro si spostò a Venezia preparando la rivoluzione tessendo stretti rapporti con i mazziniani. Diventato direttore del battagliero quotidiano “Fatti e parole”, venne cacciato dalla laguna per diversità d’opinione con il governo repubblicano moderato, passando successivamente a Roma su invito di Giuseppe Mazzini,. Eletto alla costituente, fu direttore del Monitore Romano, la gazzetta ufficiale della repubblica, impegnandosi a coinvolgere Giuseppe Garibaldi nella difesa della capitale. Caduta Roma, prese la strada dell’esilio prima in Svizzera, poi in Belgio e quindi in Francia. Tornato in Italia solo nel 1859, venne progressivamente accantonato, inviso sia ai monarchici che ai mazziniani, dai quali il suo pensiero si era allontanato. Continuando la copiosa produzione letteraria (drammi, liriche anche vernacolari, stornelli patriottici, libretti d’opera, saggi politici, religiosi e d’arte, collaborazioni giornalistiche), assunse la prima cattedra di Letteratura drammatica del Regno d’Italia, tenendola prima a Firenze e quindi a Napoli, dove morì il 10 gennaio 1873.

Giacinto Bevilacqua

 


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