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C’era tanta trepidazione all’idea di fare finalmente un’uscita scolastica. Dopo tanta attesa, sabato 23 Marzo noi di 2^ G, insieme ai nostri compagni di 2^ H, abbiamo effettuato un’uscita a Sesto Al Reghena.

L’obiettivo “dichiarato” era quello di approfondire le conoscenze acquisite in ed. artistica sull’architettura romanica (in questo caso nella forma dell‘abbazia); obiettivo implicito era quello di trascorrere una giornata scolastica diversa e divertente.

Giunti a Sesto Al Reghena, siamo stati accolti dalla guida che ci ha innanzitutto spiegato le origini del nome. Tale località è stata così denominata perché sembra che si trovasse al VI miglio nella strada che portava in Austria e che fosse contornata da un fossato chiamato, appunto, Reghena.

Ci è stata quindi illustrata brevemente la storia dell’abbazia benedettina, denominata “Santa Maria in Sylvis”. I Benedettini si stabilirono in questa antica “stazione romana” attorno al 730, attirati forse dalla solitudine, in quanto la località di Sesto si trovava allora immersa in una estesissima selva (da cui deriva “in silvis”). I fondatori dell’abbazia furono tre nobili: Erfo, Anto e Marco, figli del duca longobardo del Friuli.

Il monastero col tempo si ingrandì grazie a molte donazioni ed i monaci benedettini disboscarono, progettarono e realizzarono vie di comunicazione, bonificarono paludi. Verso la fine dell’ 800, l’abbazia fu distrutta dall’invasione degli Ungari. Per prevenire altre distruzioni, verso il 960 si creò attorno all’abbazia un sistema difensivo con 7 torri e fossati: il monastero si trasformava così in un castello medievale con mura e ponte levatoio. E il ponte sul quale è cominciata la nostra visita sostituisce il ponte levatoio dell’abbazia-castello.

Entrando nella piazza abbiamo visto un torrione, che era una delle 7 torri difensive. Sopra l’arco d’ingresso, sotto il leone di S. Marco, si trova lo stemma cardinalizio dell’abate che lo fece costruire. Gli abati che si sono succeduti a Sesto al Reghena appartenevano tutti a famiglie nobili. Infatti, di solito, erano i secondogeniti o figli “cadetti” a farsi monaci e portavano nell’abbazia gli stemmi o i simboli delle loro famiglie di origine: l’aquila, il drago, i grifoni, scene cavalleresche,… che troviamo in diversi punti dell’abbazia stessa. Anche il campanile, alto 33 metri, è un resto delle antiche fortificazioni medievali. Appena entrati, a sinistra, si incontra l’antica cancelleria mentre a destra sorge la residenza degli abati, la cui facciata è decorata con gli stemmi di cinque abati; ora è sede del Municipio. In fondo alla piazzetta, a destra, si trova la facciata della Basilica, che è molto particolare. A sinistra c’è la loggetta, che un tempo era la foresteria, dove cioè venivano accolti i pellegrini. Sulla facciata della loggetta possiamo ammirare un grande affresco raffigurante San Cristoforo ed altri affreschi con santi e scene cavalleresche. A destra di chi guarda la basilica si può vedere una scala in pietra che conduce ad un vasto salone che in passato probabilmente serviva come dormitorio per i pellegrini. Dentro il portone dell’abbazia, a destra c’è la sala udienze che in passato era il refettorio dei monaci, ricco di ornamenti e importanti tele. A sinistra del vestibolo si può ammirare una sala Museo, con reperti storici di varie epoche.

Sulle pareti del vestibolo è raffigurata un’allegoria dantesca: S. Michele Arcangelo con la bilancia pesa le anime e consegna gli eletti agli angeli, che li portano in Paradiso, e le anime dei malvagi a “Caron Demonio”, che le conduce all’Inferno nel proprio “girone”. Un particolare che ci ha colpito è che l’affresco di destra, raffigurante il Paradiso, è ben conservato mentre quello di sinistra è molto rovinato. La guida ci ha spiegato che ciò è dovuto, secondo alcuni, all’usanza medievale di lanciare sassi contro le scene dell’inferno per purificarsi dai peccati prima di entrare in chiesa. Un altro affresco particolare è quello detto “dei tre vivi e dei tre morti”: tre cavalieri sostano davanti a tre bare contenenti tre morti in diversi stati di decomposizione e da una spelonca esce un monaco che parla loro del mistero della vita, spiegando che i tre morti erano un tempo forti e potenti come i tre cavalieri, mentre i tre cavalieri, in futuro, saranno come i tre morti. In fondo all’atrio c’è il portone di accesso alla basilica. Lo stile della costruzione è romanico basilicale: tre navate e presbiterio sopraelevato. La guida ci ha spiegato che questa disposizione aveva un significato preciso: il presbiterio rappresentava il capo di Cristo che, deposto dalla croce, poggiava sulle ginocchia di Maria, quindi più in alto rispetto al corpo. Quest’ultimo, invece, era rappresentato dalle navate dove si radunavano i fedeli. Abbiamo potuto ammirare molti particolari: i pilastri rettangolari, le colonne rotonde, gli archi a pieno sesto, gli affreschi,…Tra gli affreschi uno in particolare, posto a destra del presbiterio, ha attirato la nostra attenzione: “L’albero della vita“. Un grande melograno poggia su un ponticello da cui sgorgano quattro fiumi che richiamano i 4 Vangeli. In vetta al melograno un pellicano, che allude a Cristo, con il becco si ferisce il petto per cavarne il sangue destinato a nutrire i suoi piccoli nel nido. L’albero ha dodici rami; da ogni ramo pende un melograno, ricco di frutti, simbolo di riconciliazione. Su ogni ramo è appeso un personaggio: forse i dodici apostoli? Al centro dell’albero spicca la figura di Cristo in croce.

Seduti (anche per riposarci un po’) in varie parti del vasto presbiterio, abbiamo concluso la nostra visita ascoltando dei canti gregoriani, ovviamente registrati. Non è mancata la “firma” di rito nel librone delle presenze. E poi fuori, nel parco vicino all’abbazia, a riposare, mangiare, chiacchierare e …commentare! C’è chi ha gradito questa visita e chi no, chi si è annoiato e chi si è anche divertito!!

Giulia (2^ G)