
Jim
era solo, in mezzo a quella sterminata foresta. Il piccolo aereo sul quale
viaggiava e che doveva portarlo dalla madre (una famosa ricercatrice che si
trovava da alcuni anni in Congo) giaceva fumante tra i rami intricati della
folta vegetazione equatoriale. Il pilota era morto. Jim era disorientato, non
riusciva a credere di trovarsi solo in quella foresta piena di pericoli. Non
sapeva come cavarsela: dietro a ogni albero avrebbe potuto trovare un serpente o
un ghepardo. Nonostante ciò, cercò di ricordare i momenti passati con gli
indigeni che aiutavano sua madre, di richiamare alla mente i loro insegnamenti a
proposito della foresta, che per loro è una divinità, i loro consigli su come
difendersi dai serpenti e dagli animali feroci. Si guardava intorno
attentamente: nella foresta filtrava pochissima luce, ostacolata dalle verdi
chiome dei grandi alberi secolari che grondavano di liane ed edere gigantesche.
Per prima cosa Jim cercò nell’aereo tutto ciò che gli sarebbe potuto servire
e trovò uno zaino, una borraccia piena d’acqua, una cartina della regione con
segnato il campo di sua madre, una bussola e dei fumogeni. Poi cercò di mandare
un S.O.S. a qualcuno con la radio di bordo fortunatamente ancora intatta: se ce
l’avesse fatta sarebbe stato in salvo. L’S.O.S. fu raccolto da alcuni
africani che però non riuscirono a capire subito il messaggio e ci volle un po’
di tempo prima che dessero l’allarme.
Intanto
il ragazzo si era messo in cammino per raggiungere il campo di sua madre che
distava una quindicina di miglia da lì, in direzione nord-ovest. Durante la
marcia non perdeva mai di vista la bussola e la cartina. Era anche concentrato
nell’ascoltare ogni minimo rumore, sperando di sentire il rombo dell’elicottero,
che forse lo stava già cercando. Proseguiva imperterrito senza mai fermarsi,
animato e sostenuto dal desiderio di rivedere sua madre: moltissimi insetti gli
ronzavano intorno, era stanco ed affamato e aveva sete. Si fermò un attimo, si
sedette e bevve un sorso d’acqua. Aveva paura, e non solo degli animali, anche
di poter incontrare dei selvaggi ostili. Per farsi coraggio pensava ad altro;
pensava ai suoi amici Joe e Tim e si chiedeva se li avrebbe mai rivisti. Pensava
a sua madre, l’unica persona che lo amava veramente e che lo aveva sostenuto
nei momenti difficili. Era ancora immerso nei suoi pensieri quando sentì un
rumore: proveniva dalla foresta ed era un brusio di voci. Il suo peggiore incubo
si stava per materializzare: stava per incontrare dei selvaggi. Per nascondersi
si arrampicò su di un albero. Era ben mimetizzato tra il fogliame quando sotto
di lui passarono degli uomini, una decina circa, coperti solo da un perizoma,
ornati di collane e tatuaggi e armati in modo rudimentale con lance e
cerbottane. Jim pensò che stessero andando a caccia. Rimase immobile per alcuni
minuti finché non sentì le voci svanire. Secondo i suoi calcoli dovevano
mancare solo dieci miglia per arrivare da sua madre. Consultando la cartina vide
che avrebbe dovuto attraversare un dirupo segnato col nome di "Buco della
morte". Come ci sarebbe riuscito non lo sapeva proprio, ma intanto avrebbe
continuato il suo cammino. Attraversò un acquitrino brulicante di serpenti. Un
ragazzo qualsiasi si sarebbe fatto prendere dal panico all’istante, egli
invece si sentiva anche un po’ eccitato da quella situazione e controllava
benissimo tutte le sue emozioni senza mai perdere la speranza e la calma.
Finalmente, arrivato al "Buco della morte", esaminò il paesaggio
circostante: un po’ più in là vide un albero abbattuto, probabilmente
colpito da un fulmine durante il periodo delle piogge, che collegava le due
sponde del grande dirupo. Camminò lentamente su quel tronco enorme, tenendosi
in equilibrio con l’aiuto di un lungo bastone sottile, come aveva visto fare
agli equilibristi del circo. Il dirupo era molto profondo: se fosse caduto si
sarebbe sfracellato al suolo. Fortunatamente riuscì a passare: era sudato e
stanco, non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungere sua madre e la salvezza. Si
sedette a riposarsi, sconfortato. Ad un tratto si rizzò in piedi: sentiva un
elicottero avvicinarsi. Senza perdere tempo aprì il fumogeno per indicare la
posizione ai suoi salvatori che lo avvistarono facilmente.
Purtroppo la sua avventura non
era ancora finita. Mentre osservava le manovre dell’elicottero, non si accorse
di un piccolo ma velenosissimo serpente che strisciava ai suoi piedi. Sentì un
sibilo, si voltò e lo vide: era a strisce rosse, bianche e nere ed era pronto a
spiccare un balzo per morderlo. Senza indugio prese un bastone e con uno scatto
felino lo bloccò con il pezzo di legno lanciandolo subito nel burrone. Se l’era
cavata ancora una volta. Intanto l’elicottero aveva calato una scaletta, il
ragazzo si arrampicò e, oltre ai soccorritori, nella cabina trovò anche sua
madre che aveva voluto a tutti i costi partecipare alle ricerche. La donna lo
abbracciò e lo baciò a lungo: erano felicissimi di rivedersi. Prima di tornare
al campo, Jim diede al pilota le coordinate per ritrovare il suo aereo
precipitato. In breve atterrarono al campo e Jim, sfinito ma tranquillo, si
addormentò con ancora impressa nella mente quella emozionante avventura.
Federico Floriani (II H)