Mansuè viva
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La vita
Vittoria Aganoor(si pronuncia Aganùr) nasce da una nobilissima famiglia di origine armena. La sua fu una bellezza profonda che traspare nell’espressione orientale degli occhi meravigliosi e "nel suo volto incorniciato da fitta e nera capigliatura".
La sua infanzia è vissuta quasi in un sogno orientale, ascoltando le lunghe descrizioni dei padre Edoardo, discendente di ricchi mercanti armeni di oggetti d'oro, perle preziose, stoffe, animali e spezie esotiche e venuto dall’India ancora bambino.
La famiglia Aganoor trapiantata in Persia nel 1605, passò poi in India, da dove due secoli dopo, nel 1835, Abramo Aganoor, nonno della poetessa emigrò in Europa, prima a Parigi, poi a Venezia ed infine a Padova coi tre figli. Da uno di essi, Edoardo, e da Giuseppina Pacini di nobile famiglia milanese che aveva sposata nel 1847, nacque Vittoria, a Padova nella casa detta "degli Armeni" in Via Prato della Valle, il 26 maggio 1855 alle ore 8.30 .
Il padre Edoardo mistico e di grande bontà, a cui Vittoria dedicherà la stupenda lirica "A mio padre" ricordava alla moglie e alle cinque figlie Angelica, Maria, Vittoria, Virginia ed Elena la sua incantevole villa di Rajapatà (Villa dei Re) a Madras, dai colonnati di tempio, dal parco sconfinato, dove le palme si levavano verso il cielo color topazio dei vesperi, gli aquilotti roteavano sulla trasparenza dei cielo, le foreste erano intatte da secoli, l'aria era purissima, l'oceano Indiano presentava la sua selvaggia bellezza.
Vittoria ci descrive il padre mentre sul cembalo suona le semplici canzoni e le melodie dei suoi primi dodici anni o alla sera mentre passeggia sotto il porticato della villa di Basalghelle al suono dell'AveMaria con la sua bianca testa di profeta. Il conte Edoardo sapeva confortare e scherzare. A lei rimasero nel cuore quelle suggestioni orientali e una grande sete di infinito, a cui si aggiungeranno le sensazioni suscitate dall'odore dei parco, le stelle e la luna con la loro bellezza, i presentimenti e i ricordi, le inquietudini dell'età sognatrice, la generosità dei padre verso i poveri e i contadini delle loro terre di Basalghelle. Quella degli "Armeni" a Padova, era invece una vecchia casa, tutta aperta sul Prato cinto da un piccolo fiume, ove come dirà in "Casa natale", "si specchiavano antiche statue coperte di muschio".
Vittoria si rivedrà nel "la bella bimba dai capelli neri". Quando non sarà più bambina ricorderà, in "ad una vecchia amica" le lunghe sere invernali e l'estate guardando la luna ascoltando Marta, la vecchia nutrice. Della madre Giuseppina scriverà in "Rinuncia", "Allucinazione" e "Mamma, lo vedi il sole?": era una donna colta, moderata e affettuosa nella sua tenerezza materna, morirà a Venezia il 9.3.1899 lasciando la figlia inconsolabile. Verrà sepolta nel cimitero di Basalghelle che a novembre dei 1900 Vittoria descriverà così: "Fui a Basalghelle il 2 novembre ... Tutto era desolato laggiù. Meno triste del parco abbandonato, che vidi passando dalla strada maestra, mi parve il piccolo cimitero tutto fiori e ceri, e buona gente umile che pregava con noi nella piccola chiesa..."
A Venezia la famiglia Aganoor passava lunghi periodi, nel gotico palazzo al Ponte dei Greci al n.3405. Qui conobbe il padre Arsenio Gazikian, dotto padre mechitarista armeno dell'isola di san Lazzaro. Vittoria non conosceva l'armeno e da lui si fece tradurre nella lingua paterna "Leggenda Eterna" e "Nuove liriche".
I suoi maestri furono Andrea Maffei (1798-1885) ricordato in "L'anniversario di mia sorella Maria", dal 1863 l'abate Giacomo Zanella (nato a Chiampo) direttore dei Ginnasio-Liceo di Padova, che definì Vittoria Aganoor "la sua miglior opera"; Vittoria le sarà sempre riconoscente per gli incitamenti ricevuti e spesso d'estate, lui era ospite degli Aganoor.
Alla contessa Giuseppina, Zanella dipingerà con una poesia le sembianze delle cinque contessine, con queste parole per Vittoria:
"Vittoria, a te quando cadean le nevi e tu pensosa al davanzal sedevi, l'aurora diede un bacio e l'oriente, culla de' tuoi, t'irradiò la mente. Sogni le palme; il suono odi del Gange che de' pagodi alle scalee si frange; sogni il deserto; e dell'ardente clima pregna intanto dal cor, esce la rima."
Da lui ebbe lezioni sui Classici greci e latini, su poeti e scrittori italiani e stranieri. A lei scriverà: "Cara Vittoria, mi faccia la carità di continuare nello studio, lo dico per lei, per la sua famiglia, per me, per l'Italia". Dopo una pausa nella quale lo Zanella si chiuse nel suo doloroso silenzio a causa della morte della madre (29.7.1872), ricco di sensibilità e spunti letterari sarà il carteggio tra lui e Vittoria (vedi Lettere a Giacomo Zanella 1876-1888 ed. Eidos).
Nel 1876 la famiglia Aganoor si trasferirà a Napoli, nella villa di sua sorella Angelica (sposata nel 1869 Guarnieri a Cava dei Tirreni) a causa della malattia di Maria l'altra sorella; o ancora ospite nella casa di Rione Amedeo in via Monte di Dio del Duca Francesco Mirelli che aveva sposato Virginia Aganoor nella Chiesa di Basalghelle il 26 ottobre 1892 presente il vescovo di Ceneda mons. Sigismondo Brandolini Rota e altre personalità.
Vittoria in questo periodo conosce "un suo tormento" d'amore non corrisposto, amava e soffriva, dovette essere questo amore che originò "Leggenda Eterna" e la rese artista. Dapprima il suo amore fu ricambiato intensamente, ma poi fu dimenticata e tradita. I suoi sentimenti quindi, celati per pudore di donna e per umiltà di artista, vennero alla luce più tardi "nel più bel canzoniere che sia stato mai composto da donna italiana", così come si espresse il Croce.
A Napoli, mentre dimorava a palazzo Caputo in Corso Vittorio Emanuele, Vittoria conobbe Domenico Ciampoli che la definisce bizzarra e molto facile allo sconforto e alla speranza: "Aveva talvolta idee nere... ma presto tornava il sereno, un azzurro non senza nuvole, come il suo riso ..." .
Altro suo maestro e guida fu Enrico Nencioni, che lei definisce "mago della parola e dei sentimento, prodigioso rivelatore di immensità" che soggiornò per due mesi presso la Villa della famiglia a Basalghelle scrivendo la poesia "Basalghelle-Villa Aganoor". Fu lui ad avvicinarla allo studio dei poeti stranieri, Musset, Baudelaire, Browning, Shelley, Shakespeare, Goethe, Hugo e a definirla di "ingegno virile". Nel principio dei 1895 il Nencioni si ammalò, l'anno successivo ebbe una ricaduta e pochi mesi dopo mori il 25 agosto 1896. Scriverà Vittoria: "Quale e quanta perdita fu per me la morte del Nencioni! Mi spronava, mi sgridava, mi consigliava, mi voleva bene... lo sentivo fratello e maestro, guida e rifugio." Ebbe poi la preoccupazione di doversi occupare pure di due sorelle ammalate, in particolare di Maria che sarà ancora ammalata nel 1904, ma si riprenderà dopo la visita di Vittoria a Venezia alla casa paterna di Ponte dei Greci, morirà all'ospedale psichiatrico di san Giacomo a Verona la mattina dei 7 aprile dei 1926, e riposa nel cimitero di Basalghelle, ultima delle cinque contesse Aganoor.
Morto già il padre Edoardo nel 1891 che volle riposare "in campestre cimitero" a Basalghelle, ella tornerà a Venezia, con l'anziana madre inferma. A Basalghelle, "il mio eremo" dedicherà meravigliose descrizioni nelle lettere spedite agli amici più cari come nella lettera a Gnoli dei 18.10.1898:
"Una villa modesta ma comoda, fra molte piante; abeti per lo più. Un piccolo fiume (Rasego) che traversa il parco, un fiumicello che talora si gonfia e cavalcato da due ponticelli romantici. C'è una cascatella e una specie di laghetto... Per scenario di sfondo le prealpi; e grandi praterie intorno, quiete, rnelanconiche, specialmente sotto i bagliori dei vesperi, ma tanto care a me. Il Nencioni fu così felice qui! Povero amico!"
Il 1 novembre 1903 da Monte dei Lago (sul Trasimeno) sua residenza dopo il matrimonio scriveva:
"lo ho innanzi allo spirito il piccolo quieto cimitero di Basalghelle, e poco fa, intrecciando pochi fiori per i morti di qui, io pensavo che avrei voluto posarli su quella pietra lontana, su quella porta di mistero, dove è tanta parte di chi ho amato, carezzato, curato, coll'adorazione più profonda. Ma essi anche da lontano mi sentono, mi vegliano, mi parlano; io li so vicini a me sempre e mi vado ripetendo le parole che ella (la mamma), mi diceva tanto spesso: <Ricordati che quando io non sarò più, anche allora io ti sarò sempre accanto>".
Vittoria dopo il matrimonio con Guido Pompilj vive a Perugia in una bella casa, con artistici arredi e quadri. Nel panorama umbro, la vita trascorre felice, adorata da un uomo serio e nobile, a lui dedicherà "Nuove liriche", "a te che al lavoro e del lavoro mi dai costante incitamento ed esempio..." a lui in particolare "il canto dell'amore". Vittoria si innamorerà del paesaggio umbro, in particolare dei selvaggio lago Trasimeno e dell'antico Castel di Zocco: "La nostra casa è d'innanzi al Trasimeno, tutta circondata da colline folte, e sul lago tre isolette di sogno, verdi verdi, sdraiate come in abbandono d'estasi sul loro lago. Facciamo lunghe passeggiate nella freschezza della sera, sotto la prima luna bianca e torniamo a casa in barca, tacendo, tenuti dall'incanto della bellezza attorniante e dell'ora." A Perugia si occupa anche di un Istituto di Educazione Femminile e dell'antica arte di tessuti bianchi a occhio di pernice con bordo azzurro.
Minata da un male incurabile, consapevole della fine prossima, scrive all'amica Marina il 10 luglio 1905 "... Ho una lesione all'aorta; poco male, perché tanto se non è oggi è domani per tutti; ma questo ti dica che le sofferenze non mi sono mancate, specialmente in questo ultimo periodo".
Muore il 7 maggio 1910 alla Clinica Pampersi di Roma dopo due difficili interventi chirurgici, assistita dal marito che profondamente l'amava. Il dolore di Guido sarà così grande da seguirla il giorno dopo nella scomparsa troncando con un colpo di rivoltella alla tempia destra, disperatamente, i suoi giorni e il suo futuro politico, così come egli scrive alla cognata Angelica: "... lo, secondo la nostra comune volontà, devo essere sepolto nella stessa tomba di Vittoria; troppo poco rimanemmo uniti in vita, lo saremo per sempre nella morte!" Saranno sepolti assieme a Perugia. Anche sua sorella Elena che visse tra Venezia, Basalghelle e Tarcento dove possedeva una sua villa, scrisse alcune poesie ammirate dallo Zanella.